
Fra i giornalisti sportivi è in corso ormai da tempo la gara per chi fa la domanda più ovvia, possibilmente a risposta scontata: mister è contento di essere venuto ad allenare a Roma? (se a Milano, Napoli, Genova o Catania, non cambia) Ho già detto di essere uno spettatore distratto, ma c’è qualcuno che ricorda un allenatore che abbia dichiarato di vivere con dispiacere il cambiamento? Di recente, nei giorni del trasferimento del ragazzo cattivo del calcio italiano in Inghilterra, abbiamo visto su Italia Uno una giornalista rincorrerlo in aeroporto per chiedergli se fosse felice di lasciare l’Italia: Balotelli ha opposto un silenzio molto eloquente: pensate che quel servizio a dir poco inutile, sia andato in onda solo una volta? Ma che, lo si è visto ad ogni notiziario per almeno tre giorni.
In tempi, come quelli che viviamo, in cui la cronaca offre quotidianamente episodi di violenza, uccisioni, aggressioni e quant’altro, i notiziari, i talk show, le radio “sguinzagliano” i loro cronisti alla caccia di notizie, di dichiarazioni clamorose, di immagini di lacrime e disperazione. Tutti, i parenti, gli amici o colleghi o semplici vicini di casa della vittima, meritano rispetto, e sono comprensibili anche dichiarazioni anche non condivisibili, e come non capire il dolore, o la contrarietà verso ogni forma di garantismo di un padre, o di una sorella colpiti dalla morte o dal ferimento dei propri cari; ma se la scarsa lucidità dei familiari va compresa, non è invece tollerabile l’invadenza, la mancanza di rispetto di questi pseudo giornalisti, la stupidità delle loro domande. Quante volte ci è toccato sentire uno di questi inviati chiedere ad una madre in lacrime se perdona l’assassino del figlio o della figlia, o agli amici della vittima se e quanto mancherà loro. Troppo spesso il tono delle risposte è necessariamente adeguato alla sciocca ovvietà della domanda.
I vecchi cronisti di nera amavano definirsi “scomodi ospiti” dei posti di polizia, ascoltavano, facevano domande a chi investigava, sfruttavano le amicizie frutto di lunghi anni di attività: in poche parole “cercavano notizie” per poi darle ai lettori.
I loro colleghi (sic!) di oggi hanno tempi strettissimi, perché la velocità della informazione televisiva o via web, non da il tempo per riletture, correzioni, aggiustamenti; l’intervista al parente rappresenta la notizia, e più l’interlocutore è colpito e piange e più funziona.
Si arriva al punto in cui si può sentir dire, a proposito di un giovane che ha ucciso a pugni e calci un uomo, che non lo ha ucciso, e non perché non lo ha colpito, ma perché quello gli aveva sputato. Il ragazzo, forse, prima non “era” un assassino, prima non “aveva” mai ucciso, prima. Adesso, purtroppo ha ucciso, se volontariamente o meno, costretto o meno, lo stabilirà il processo.
Far passare quelle dichiarazioni è stato il primo passo verso le manifestazioni, le aggressioni agli extracomunitari, cui abbiamo assistito nei giorni successivi.
È questa l’Italia che vogliamo? È questa l’informazione che meritiamo? Voglio credere di no, e definitemi pure un ingenuo fuori dal tempo.